Tate Modern presenta il primo importante consuntivo di metà carriera dell’attivista visiva Zanele Muholi.
ZANELE MUHOLI
Nata in Sudafrica, nel 1972 Muholi è diventata famosa nei primi anni 2000 con fotografie che cercavano di immaginare vite ai margini.
Queste immagini sono trattate più che da semplice artista da” attivista visivo” come lei stessa ama definirsi.
Il lavoro di Muholi sfida infatti le ideologie e le rappresentazioni etero-patriarcali ricorrenti nelle fotografie che lei vedeva da teenager sudafricana.
I partecipanti sono rappresentati come individui sicuri e belli, coraggiosamente esistenti di fronte a pregiudizi, intolleranza e, spesso, violenza.
Lesbiche nere, gay, bisessuali, trans, queer e intersessuali non sono marcati per la devianza o il vittimismo, ma sono intellettuali, imprenditori, artisti : gente comune.
Centrale nel suo lavoro è l’attivismo in merito alla visibilità del corpo queer, un corpo marchiato come se fosse affetto da una malattia.
Il valore del suo lavoro sta riscontrando importanti riconoscimenti, non ultimo l’invito alla 58^ mostra internazionale d’arte della Biennale di Venezia 2019 e ora questa importante mostra alla Tate Modern di Londra.
L’interesse dei suoi scatti si è rivolto ai corpi di altri ma anche a se stessa.
Mentre le fotografie intime degli altri hanno lanciato la sua carriera internazionale, gli autoritratti l’hanno consolidata.
La mostra è organizzata da Tate Modern in collaborazione con la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, Gropius Bau di Berlino e Bildmuseet all’Università di Umeå.
La ricerca è inoltre supportata dal Centro di ricerca Hyundai Tate: Transnazionale .
L’ampiezza del partenariato mostra l’interesse del mondo dell’arte per il lavoro di Muholi.