Alla triennale una grande mostra dedicata a Raymond Depardon, fotografo e regista francese, che si definisce fotografo della decolonizzazione, per il pensiero che guida la sua ricerca fotografica.
Raymond Depardon La vita moderna
Triennale Milano e Fondation Cartier presentano in Italia la prima mostra personale del fotografo e regista francese Raymond Depardon, realizzata con la collaborazione dell’artista francese Jean Michel Alberola.
L’esposizione testimonia come la ricerca di Depardon esplori mondi e contesti molto diversi: dalle comunità rurali francesi alle periferie urbane di Glasgow, dalla vita nella New York degli anni Ottanta agli ospedali psichiatrici in alcune città italiane negli anni Settanta.
Oltre 1300 metri quadri di spazi espositivi per 300 fotografie e due film che presentano l’opera di un fotografo-regista che percorre il pianeta, attraversa le città e le campagne, dà la parola ai loro abitanti e pone sul mondo uno sguardo umanista.
Nato nel 1942 a Villefranche-sur-Saône (Francia) vive oggi a Clamart.
Figlio di agricoltori, scopre la fotografia all’età di dodici anni e sceglie, come primo soggetto, la fattoria dei genitori e quell’ambiente rurale che segnerà profondamente il suo lavoro.
Negli anni Sessanta diventa fotoreporter per l’agenzia Dalmas. Nel 1966 fonda l’agenzia Gamma con Gilles Caron e, nel 1978, inizia a collaborare con l’agenzia Magnum.
Raymond Depardon ha inoltre realizzato venticinque lungometraggi, molti dei quali con Claudine Nougaret, che sono stati presentati al Festival di Cannes, alcuni acclamati anche dalla critica in Italia, ad esempio Urgences (1988, Grand Prix del film documentario di Firenze) o ancora Un homme sans l’occident (2003, Selezione ufficiale alla Mostra del Cinema di Venezia).
Per molto tempo, esporre le sue fotografie non è stato il pensiero principale di Raymond Depardon.
Era necessario far passare del tempo, lasciare che “invecchiassero”.
Viaggiatore instancabile, reporter, giornalista, autore di documentari e molti libri, Raymond Depardon ama definirsi come “fotografo della decolonizzazione”.
I suoi lavori come fotoreporter negli anni ’60 coincidono infatti con i grandi movimenti indipendentisti: nel 1960 svolge il suo servizio militare come fotografo, seguendo la guerra d’Algeria.