Granello di Sabbia

Ora, da un po’ di anni, qualcosa è cambiato in questi luoghi

Granello di Sabbia

 

© Pikasus Photo 2012

 

Mi sto godendo il tepore del sole, disteso tra tanti miei simili, su questa morbida porzione del mondo, una stretta striscia tra una fascia verde di enormi alberi che a sera proiettavano una fredda ombra, che mi gela, e una fascia dal colore variabile azzurrino–verdastro-biancastro che faceva sentire la sua presenza con un rumore ritmico sulla riva che non cessava mai.

Sono qui, tranquillo, da non saprei dire quanto tempo, so solo che ho perso il conto degli anni.

Ricordo che un tempo non c’erano questi fastidiosi alberi che nascondono il sole al tramonto, o forse erano più piccoli, o più lontani e sono io che mi sono avvicinato a loro.  Lo so che la nostra è una vita in continuo movimento.

Ora, da un po’ di anni, qualcosa è cambiato in questi luoghi.

Ricordo che d’inverno non era facile salvare il tuo posto qui, sulla spiaggia. Arrivavano onde altissime e ti trascinavano nell’acqua. Ci sono stato anch’io là, sommerso sotto quella massa liquida e trasparente. Quella massa ti schiacciava nel fondo ma era continuamente in movimento e non ti lasciava un solo attimo tranquillo. Era stressante sentirsi sbattere avanti e indietro, a destra e sinistra continuamente, senza sosta e senza una meta definita. Inoltre, là sotto eravamo tanti, come qui sulla spiaggia, ma pressati gli uni sugli altri per il peso, tanto da dare l’impressione a volte di essere un’unica massa priva di individualità.

Poi arrivava la primavera, ricordo che una grande onda mi ha preso, mi ha sballottato un po’, mi ha sollevato e sbattuto lontano. Poi Lei se n’è andata lasciandomi qui privo di sensi e tutto bagnato.

Mi risvegliai dopo qualche giorno, ero ancora bagnato ma libero, non sentivo più quel peso trasparente che ti schiacciava sul fondo.

Ho cominciato a rivedere il sole a sentire il piacere del suo calore e rivedere il biancore umido della luna che ti toccava come una carezza.

Era bello allora quando arrivava la bella stagione con il sole caldo e le acque del mare tranquille e l’aria leggera. Potevi restare mesi al tuo posto, senza disturbi, se non qualche uccello che posava le sue zampette sottili per saltellare tra noi o per spingere il volo verso mete più alte. C’era silenzio attorno. Solo la ritmica risacca del mare scandiva il nostro tempo.

Poi, non sono trascorsi più di cinquant’anni, le zampette leggere degli uccellini hanno lasciato il posto alle orme ben più grandi e pesanti degli uomini. Hanno cominciato ad arrivare sempre più numerosi, piantando pali, gettando teli che ti coprono tutto per ore, ogni tanto bagnandoti tutto. A volte piccole mani, con palette e secchiello, ci prendono e ci spostano, fanno buche che riempiono d’acqua- come se non avessero a pochi metri tutta l’acqua che vogliono- poi ti riprendono e ti rigettano dentro e ti ritrovi sotto. No! Sotto l’acqua non voglio ritornarci grido, ma nessuno mi sente. L’acqua va via ma io rimango sotto, ora il peso è la somma di tutti quelli che stanno sopra di me. “Chissà quando rivedrò la luce” penso triste anche perché qui sotto non ci sarà acqua ma c’è una umidità terribile. Spero solo che arrivino altre piccole mani con le loro palette o grandi mani che le aiutino nell’impresa: che facciano una nuova buca e mi riprendano e mi ributtino su, alla luce, ad asciugarmi e sentire il calore del sole che riscalda ogni più piccolo angolo del tuo essere.

Rifletto un po’ e mi accorgo che oggi l’estate per noi poveri granelli di sabbia e più pericolosa dei tormentati inverni, con le loro piogge e le mareggiate: un turbinio di piedi, paletti, teli, palette e secchielli ci rendono veramente la vita difficile.

Vorrei tornare indietro nel tempo e scoprire le mie origini e capire se per me poteva esserci un’altra vita, ma questa è un’altra storia.

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