Giovanni Morbin è ritenuto uno dei body artist tra i più significativi del panorama italiano contemporaneo
Fondazione Bevilacqua La Masa presenta presso Palazzetto Tito di Venezia la mostra. GIOVANNI MORBIN. Campo di ricerca
Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia, nella sede di Palazzetto Tito, presenta Campo di ricerca, mostra personale di Giovanni Morbin a cura di Daniele Capra.
Nato a Valdagno, Vicenza, nel 1956 Giovanni Morbin si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia dopo aver seguito il corso di pittura nel laboratorio di Emilio Vedova.
Dalla fine degli anni Settanta la sua ricerca è legata allo studio del comportamento, che viene preso in esame attraverso performance realizzate in prima persona dall’artista e da opere di natura scultorea, che spesso assumono la forma di oggetti funzionali assurdi e destabilizzanti.
Nel 1995 fonda Superficie Totale, contenitore del suo agire, e a partire da quel momento le sue performance sono denominate Ibridazioni, poiché caratterizzate di volta in volta dalla compagnia animale, vegetale, minerale e artificiale.
Oggi è ritenuto uno dei body artist tra i più significativi del panorama italiano contemporaneo.
Il progetto espositivo è costituito da una trentina di lavori realizzati a partire dalla fine degli anni Ottanta, da nuove opere realizzate site-specific per gli spazi della Fondazione e performance immaginate per la città lagunare.
A partire dall’approccio libero e anticonformista dell’artista, la mostra analizza l’ampiezza dei campi di ricerca di Morbin, la cui pratica spazia dall’azione a opere di natura oggettuale.
Vengono, in particolare, messi in luce i cambiamenti e le smagliature del tessuto dell’ordinario attraverso opere come Materia cedevole al tatto, che registra la modificazione plastica del corpo dell’artista in seguito a un incidente, oppure After Szeemann, aspirapolvere che è stato impiegato nello studio del celebre curatore svizzero spesso scambiato dal pubblico come un oggetto abbandonato nello spazio espositivo.
Lavori inediti come Manomissore, un volume in cemento osseo che rappresenta lo spazio vuoto tra le mani dell’artista, testimoniano invece l’interesse verso la postura e le abitudini comportamentali, mentre la serie dei Ritratti cambia l’idea di somiglianza, basandosi non tanto sulle qualità fisiognomiche del soggetto, ma sull’impiego del suo tessuto ematico.
Tra le opere in mostra realizzate per Venezia spiccano anche i Bianchi, dei dipinti realizzati strappando l’intonaco nello spazio espositivo (con le modalità tipiche del restauro), che rappresentano a tutti gli effetti il capovolgimento dell’attività pittorica.
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