EQUIPE 48

La soffitta dell’amico si trovava poi in un tratto di portico che ogni giorno percorrevamo con le nostre discussioni, quasi a metà del percorso

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Ci trovavamo nella soffitta sopra il negozio e l’abitazione di uno degli amici dei portici, ma per arrivarci fu un percorso lungo.

Le soffitte dei palazzi che si affacciano sulla via principale della nostra città sono in genere molto spaziose, alte anche quattro metri al centro per scendere fino a circa un metro verso la strada, con basse finestrelle che servono per far entrare aria e luce.

Spesso quelle finestre erano riparate con una reticella che serviva ad impedire l’ingresso dei piccioni, numerosi in tutto il centro storico.

La parte di piazza che era il loro ritrovo sembrava quasi piazza San Marco, tanto erano numerosi e voraci, era normale che venissero a mangiare sulle mani di bambini e adulti.

Le soffitte che non si difendevano con queste retine e avevano le finestre aperte o con i vetri rotti, sembravano un campo di battaglia, con piccioni svolazzanti che scaricavano i loro escrementi come bombardieri in guerra.

Se avessi avuto la fortuna di non essere colpito dalle scariche al volo avresti rischiato dei gran scivoloni su un pavimento che era un tappeto di guano, reso viscido dai depositi recenti.

Sono soffitte che se in passato servivano per conservare arieggiate granaglie o simili.

Da tempo erano poco utilizzate dai proprietari dei palazzi perché non indispensabili per uso di deposito a fronte di abitazioni tanto spaziose e più che sufficienti per tutte le esigenze della vita quotidiana e del desiderio di conservazione delle memorie di famiglia.

L’abitazione del nostro amico, figlio unico, era talmente spaziosa che, da anni nessuno aveva la necessità di entrare in soffitta.

Era però una soffitta a cui si accedeva agevolmente, senza necessità di entrare nell’abitazione: c’era una comoda scale, anche se un po’ ripida, che permetteva di arrivare alla soffitta difesa da una solida porta che la isolava dal resto del palazzo.

Fu sufficiente una mezza parola dell’amico sulla possibile disponibilità della soffitta, perché la questione entrasse nelle fantasie e nei sogni del gruppo di amici che ogni giorno, alle 18.00 si incontrava da anni per consumare la pavimentazione dei portici andando avanti e indietro a chiacchierare.

La soffitta dell’amico si trovava poi in un tratto di portico che ogni giorno percorrevamo con le nostre discussioni, quasi a metà del percorso.

Erano allora i tempi dei primi complessi musicali e della nuova musica vivace che arrivava dall’estero, tra i gruppi musicali che spesso apparivano sullo schermo televisivo c’era il complesso “Equipe 84”.

A dir il vero nel nostro gruppo non c’era nessuno portato per la musica “attiva”, anche se alcuni coetanei avevano costituito un complessino che si esibiva in estate nelle balere al mare.

Nessuno di noi si sognava di suonare, forse perché ci sentivamo degli intellettuali.

Uno del gruppo, il più appassionato per l’arte, certamente copiando frasi trovate in qualche libro, ripeteva con grande enfasi che le arti liberano il pensiero e forniscono le basi per renderlo creativo e critico.

Lui, che qualche anno dopo avrebbe fondato una galleria d’arte, diceva inoltre che il contatto con oggetti culturali e opere d’arte aiuta ad essere fantasiosi e innovativi e concludeva spesso con una frase iconica” e poi l’arte ti rende tenebroso e più interessante per le ragazze”.

A noi interessava solo questa parte finale delle sue “elucubrazioni”, ma comunque eravamo tutti d’accordo con lui che la musica d’avanguardia, quella dei complessi, si doveva fare nelle cantine o nelle taverne semi interrate delle nuove ville costruite negli anni Sessanta ai margini della città.

Le soffitte erano più adatte a noi “intellettuali”, che andavamo con il pensiero alla mitica Parigi, agli studi d’artista o alle povere abitazioni di scrittori e attori sui tetti di Montmartre. Sognavamo la collina degli artisti che si erge nell’area del XVIII arrondissement, sulla riva destra della Senna, ed è stata per molto tempo il centro della vita bohémienne parigina, che ha avuto il suo momento di massimo splendore con la Belle Époque.

Immaginavamo di essere in soffitta e di trovarci vicini ad artisti del calibro di

 

  • Picasso
  • Renoir
  • Utrillo
  • Toulouse-Lautrec
  • Van Gogh
  • Pissarro
  • Modigliani

 

Oppure sederci su povere scrivanie tra gli appunti di Stendhal, o Dumas o Zola.

Nomi noti anche a noi, per lo studio e per le mostre che in Italia erano dedicate a questi artisti.

Fu quindi un coro di “siii” che accolse una sera con entusiasmo la proposta formale di quell’amico di usare la sua soffitta per creare un gruppo che si doveva incontrare con regolarità, nei giorni festivi o nelle ferie estive, o nelle ore della passeggiata quando il tempo fosse stato troppo inclemente anche per il passeggio sotto i portici.

Da intellettuali si pensava a fondare un “cenacolo culturale, artistico e letterario” al quale bisognava dare un nome.

E qui salta fuori il riferimento al complesso Equipe 84.

Uno ebbe la pensata “siamo tutti del 1948 – disse – perché non ci chiamiamo Equipe 48?  Qualcuno obiettò che in realtà non eravamo tutti nati nel 1948, qualcuno era del 1947 e uno del 1949. “ma quelli del 1947 sono degli ultimi mesi – replicò – e quello del 1949 è nato in gennaio, siamo di fatto tutti coetanei”

Con questa precisazione il nome fu approvato e nel mese di settembre del 1964 nasceva l’Equipe48.

Non avevamo chiaro cosa dovesse fare questo nuovo gruppo e la questione fu rinviata per risolvere un problema più urgente: fare un sopralluogo nella soffitta e valutare il lavoro da fare per attrezzarla adeguatamente.

Salimmo tutti, l’amico aprì la pesante porta “uahuuu”, avevamo di fronte un campo di battaglia. I simpatici piccioni avevano conquistato ogni angolo della soffitta, guano ovunque a causa della reticella rotta di una delle finestrelle.

Per fortuna, al centro della soffitta, nella parte più alta, i genitori o gli avi dell’amico proprietario avevano ricavato un locale chiuso con tavole di legno e una porta, forse usato nella loro giovinezza per qualche incontro segreto.

Trovammo quindi una stanzina abbastanza pulita, con un tavolo, quattro sedie e alcuni bauli accatastati che scoprimmo contenere antichi ricordi di famiglia.

Bisognava comunque bonificare la soffitta, il piano di lavoro era competenza degli amici studenti dell’Istituto tecnico industriale.

Qualcuno dei liceali, tento la sortita “questo è lavoro di voi periti tecnici avvisateci quando avete finito”.

La sortita non andò a buon fine e tutti ci trovammo ad eseguire materialmente il piano di lavoro elaborato dai periti tecnici, piano che prevedeva:

 

  • prima operazione, trovare una reticella per sostituire quella rotta e far cessare l’azione dei piccioni;
  • seconda operazione, dotarsi di palette, spatole e scope per eliminare e raccogliere il guano depositato ovunque;
  • terza operazione, pulire a fondo la stanza centrale e valutare l’arredamento necessario da procurare.

 

Finito il lavoro di bonifica iniziò la ricerca e il reperimento nelle varie abitazioni di sedie, una libreria ove collocare i libri che dovevano servire all’attività del” cenacolo”, un mobiletto per bibite, acqua, liquori e bicchieri, mazzi di carte per i tempi morti, quelli non occupati dalle discussioni culturali. Arrivarono la libreria e i primi libri quelli economici dei classici dai russi Dostoevskij e Tolstoj, ai francesi Proust, Dumas, Zola, agli americani Steinbeck ed Hemingway, pochi italiani, Rigoni Stern, Pasolini poi c’erano altri autori a noi sconosciuti che poi scoprimmo vincitori di “premi Nobel”. Seguirono le sedie e il mobiletto bar, con qualche bottiglia a metà di liquori dolci tipo Strega, amaretto, prugna, tre sedie, due mazzi di carte, una da “briscola” per briscola, tresette o scopone e una da “Ramino” adatta per Scala quaranta e poker.

Arrivò anche un grosso posacenere ma fu riportato indietro perché in soffitta era vietato fumare per motivi di sicurezza. Il padre dell’amico era stato infatti inflessibile in questo divieto allorché acconsentì alla richiesta del figlio per l’uso della soffitta.

Giunse comunque il giorno dell’inaugurazione della sede. Tutti eccitati ci trovammo sotto il portico davanti al negozio dell’amico, avevamo invitato anche qualche ragazza; “non si sa mai” pensavamo. Salimmo la ripida scala, l’amico aprì la porta e entrammo tutti, brindammo a birra e bibite, poi c’erano dei sacchetti di patatine e noccioline americane e un vecchio giradischi con la speranza che potesse poi seguire un ballo. Non fu così, il padre dell’amico che ci aveva seguiti per controllare il rispetto delle regole che aveva imposto rimase tutto il tempo togliendoci ogni velleità d’avventura.

Ci ritrovammo il giorno dopo, bisognava definire l’organizzazione del gruppo, fissare temi e tempi delle riunioni. Qualcuno parlò di Statuto, ma la cosa sembrava troppo complicata per cui si optò per un foglio in cui erano scritti gli orari, le regole per tenere pulita e ordinata la sede, incarico di coordinamento affidato all’amico proprietario visto che era una delle condizioni imposte dal padre.

Nulla era invece scritto su scopi e tipologia di attività dell’Equipe 48.

Si decise comunque che ci saremmo incontrati almeno una volta la settimana, il sabato pomeriggio, furono distribuiti i libri che ognuno doveva leggere per poi parlarne nel “cenacolo” alla scadenza che veniva indicata in linea di massima sulla base della lunghezza e voluminosità del libro.

Eravamo convinti di essere un circolo letterario da cui sarebbero scaturiti nuovi scrittori famosi, vincitori dei premi letterari più conosciuti a quel tempo.

Arrivò il primo sabato ma chi doveva presentare il libro lamentava di essere stato indicato per primo, anche se il suo libro era veramente di poche pagine. Confessò di non aver neppure cominciato a leggere e comunque di non essere in grado di presentare ciò che avrebbe letto.

Era un primo segnale di trasformazione sotterranea delle finalità del circolo.

Qualcuno propose di passare alle carte da briscola, proposta subito accolta, ma poi essendo in sei due non avrebbero giocato e nessuno era disposto a stare fuori. Le carte da briscola andavano bene quando ci fossimo trovati in quattro. Si optò quindi per le carte da Ramino e iniziò un gioco di Scala quaranta a sei giocatori. Andammo avanti qualche sabato ma il gioco era noioso e monotono, serviva qualcosa che lo rendesse più stimolante. “Giochiamo a soldi” propose uno, “ottimo”, fu la risposta di tutti: “ma piccole cifre” aggiunse uno.

La proposta fu accolta e gli incontri continuarono con partite a scala quaranta e poi a poker

Fu così che il circolo culturale si trasformò in una dilettantesca bisca ove giravano i milioni durante il gioco, per diventare qualche centinaio di lire o qualche pagamento in natura, di norma libri o fumetti, al momento del pagamento.

L’esperienza della soffitta durò pochi mesi perché il divieto del fumo creava non pochi disagi.

Equipe 48 svanì e il gioco continuò nello studio con “limone” di un altro degli amici dei Portici.

ITALO CREMONA. Tutto il resto è profonda notte
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