Il mito del Garda attraverso lo sguardo dei Lotze

I Lotze: le loro immagini all’albumina hanno contribuito a diffondere nel Continente il mito del Grande Lago Blu, il Garda. Dal 30 marzo al 10 giugno 2012, il MAG Museo Alto Garda propone una ampia retrospettiva delle loro mitiche fotografie. 120 stampe vintage, di cui un buon numero inedite, tutte della dinastia italo-tedesca dei Lotze. Ad ospitare la grande esposizione è la Fortezza Asburgica che affonda le proprie fondamenta entro le acque del Lago, a Riva del Garda. La mostra è promossa dal MAG e curata da Alberto Prandi. I Lotze scesero a Verona da Monaco alla metà dell’Ottocento. Il capostipite Moritz Lotze, pittore di corte del Duca di Sassonia, con all’attivo un solido sodalizio con Franz Hanfstaengl, sperimentatore e celebre fotografo tedesco, introduce nella città scaligera la nuova suggestiva tecnica fotografica al collodio.

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Il mito del Garda attraverso lo sguardo dei Lotze

I Lotze: le loro immagini all’albumina hanno contribuito a diffondere nel Continente il mito del Grande Lago Blu, il Garda. Dal 30 marzo al 10 giugno 2012, il MAG Museo Alto Garda propone una ampia retrospettiva delle loro mitiche fotografie. 120 stampe vintage, di cui un buon numero inedite, tutte della dinastia italo-tedesca dei Lotze. …

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A Ca’ Foscari le Venezie di Congdon

«William Congdon è l’unico pittore, dopo Turner, che ha capito Venezia, il suo mistero, la sua poesia, la sua passione. Il suo modo d’esprimersi è moderno, la sua comprensione vecchia quanto la città stessa. Egli ha saputo cogliere l’effettiva essenza di molti secoli e fonde questa visione in un sogno così fantastico e bello che i suoi dipinti lasciano senza respiro [.] Sono fatti di lava; sono lampeggianti; palpitano della vita e della passione di tutti i veneziani che da lungo tempo riposano nella loro ultima dimora.» Così scriveva Peggy Guggenheim nel 1953, esprimendo il suo entusiasmo di fronte alle Venezie di Congdon.

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A Ca’ Foscari le Venezie di Congdon

«William Congdon è l’unico pittore, dopo Turner, che ha capito Venezia, il suo mistero, la sua poesia, la sua passione. Il suo modo d’esprimersi è moderno, la sua comprensione vecchia quanto la città stessa. Egli ha saputo cogliere l’effettiva essenza di molti secoli e fonde questa visione in un sogno così fantastico e bello che i suoi dipinti lasciano senza respiro [.] Sono fatti di lava; sono lampeggianti; palpitano della vita e della passione di tutti i veneziani che da lungo tempo riposano nella loro ultima dimora.» Così scriveva Peggy Guggenheim nel 1953, esprimendo il suo entusiasmo di fronte alle Venezie di Congdon.

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Il mondo femminile: grande mostra a Barletta

L’odore della luce è quello che si espande in un campo di fieno appena tagliato, in un giardino dove le lame del sole illuminano l’humus del sottobosco, nell’afrore dolce del gelsomino estivo. E’ la sensazione che promana da una certa pittura a cavallo del secolo, ancora legata ai canoni macchiaioli ma già proiettata verso il nuovo del dopoguerra. La luce che illumina l’olfatto è una splendida sinestesia, un caso di intersensorialità «indotta», che gioca sull’idea che dai prati, dai campi e dai giardini delle opere della mostra emanino luci odorose e profumi luminosi. Tanto più splendida la sinestesia per il fatto che quella luce odorosa illumina e avvolge figure femminili anch’esse profumate di luce e illuminate di odori. Una pittura, quella indagata in “L’odore della luce” (dal 4 maggio al 19 agosto a Palazzo Marra, sede della Pinacoteca De Nittis di Barletta), che ha due co-protagoniste: la donna e la natura, ad occupare una scena fatta di quotidiana straordinarietà, sullo sfondo di nuove certezze, in decenni destinati a cambiare il mondo e ad assistere al nuovo ruolo che in esso si vanno conquistando le donne. Anche in quell’universo apparente immutabile che è la società contadina, tanto al sud quanto al nord del nostro Paese.

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Il mondo femminile: grande mostra a Barletta

L’odore della luce è quello che si espande in un campo di fieno appena tagliato, in un giardino dove le lame del sole illuminano l’humus del sottobosco, nell’afrore dolce del gelsomino estivo. E’ la sensazione che promana da una certa pittura a cavallo del secolo, ancora legata ai canoni macchiaioli ma già proiettata verso il nuovo del dopoguerra. La luce che illumina l’olfatto è una splendida sinestesia, un caso di intersensorialità «indotta», che gioca sull’idea che dai prati, dai campi e dai giardini delle opere della mostra emanino luci odorose e profumi luminosi. Tanto più splendida la sinestesia per il fatto che quella luce odorosa illumina e avvolge figure femminili anch’esse profumate di luce e illuminate di odori. Una pittura, quella indagata in “L’odore della luce” (dal 4 maggio al 19 agosto a Palazzo Marra, sede della Pinacoteca De Nittis di Barletta), che ha due co-protagoniste: la donna e la natura, ad occupare una scena fatta di quotidiana straordinarietà, sullo sfondo di nuove certezze, in decenni destinati a cambiare il mondo e ad assistere al nuovo ruolo che in esso si vanno conquistando le donne. Anche in quell’universo apparente immutabile che è la società contadina, tanto al sud quanto al nord del nostro Paese.

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Arte slovena del Novecent a Trieste

Finalmente sarà esposta al pubblico la raccolta d’arte più rappresentativa della cultura artistica slovena in Italia, custodita fino ad ora nei caveaux di prestigiose istituzioni private. Accadrà a Trieste nel Salone degli Incanti ex Pescheria, dal 21 aprile al 17 giugno, nell’ampia rassegna “Orizzonti dischiusi. Arte del Novecento tra Italia e Slovenia”. Da parte slovena, ad anticipare la rassegna italiana sarà un’analoga mostra allestita al Cankarjev dom di Ljubljana. L’esposizione triestina, promossa da KB1909, dalla Banca Monte dei Paschi di Siena e dal Comune di Trieste – Assessorato alla Cultura e curata da Josko Vetrih e Franco Vecchiet, affiancati nel Comitato scientifico da Maria Masau Dan e Donatella Capresi, festeggia un grande ritorno: quello delle opere d’arte patrimonio dell’ex Banca Slovena di Trieste, acquisita nel 1999 dalla Banca Antonveneta, a sua volta acquisita da Banca Monte dei Paschi di Siena. Quadri e sculture hanno seguito le sorti degli istituti di credito e così oggi il patrimonio d’arte collezionato a Trieste è finito nei caveaux senesi.

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Arte slovena del Novecent a Trieste

Finalmente sarà esposta al pubblico la raccolta d’arte più rappresentativa della cultura artistica slovena in Italia, custodita fino ad ora nei caveaux di prestigiose istituzioni private. Accadrà a Trieste nel Salone degli Incanti ex Pescheria, dal 21 aprile al 17 giugno, nell’ampia rassegna “Orizzonti dischiusi. Arte del Novecento tra Italia e Slovenia”. Da parte slovena, ad anticipare la rassegna italiana sarà un’analoga mostra allestita al Cankarjev dom di Ljubljana. L’esposizione triestina, promossa da KB1909, dalla Banca Monte dei Paschi di Siena e dal Comune di Trieste – Assessorato alla Cultura e curata da Josko Vetrih e Franco Vecchiet, affiancati nel Comitato scientifico da Maria Masau Dan e Donatella Capresi, festeggia un grande ritorno: quello delle opere d’arte patrimonio dell’ex Banca Slovena di Trieste, acquisita nel 1999 dalla Banca Antonveneta, a sua volta acquisita da Banca Monte dei Paschi di Siena. Quadri e sculture hanno seguito le sorti degli istituti di credito e così oggi il patrimonio d’arte collezionato a Trieste è finito nei caveaux senesi.

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Padova, il ritratto di una grande Collezione

La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo celebra i suoi primi vent’anni di attività presentando fra l’altro al pubblico, nella sede restaurata del cinquecentesco Palazzo del Monte, due grandi mostre. La prima documenta, attraverso 20 fotografie, ciò che l’ente ha realizzato in questi vent’anni, la seconda ricorda, attraverso un’accurata selezione di 60 opere d’arte della propria collezione, la storia antica di cui la Fondazione è l’ultima erede. Le banche, come è noto, hanno custodito nel corso degli anni numerose opere d’arte. Così è stato anche per la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, il cui patrimonio, oggi, è in parte proprietà della omonima Fondazione e che una grande mostra allestita nel restaurato Palazzo del Monte finalmente svela.  La mostra “Ritratto di una collezione” mette in evidenza lo splendore della grande arte. Alcune opere sono frutto di mirate acquisizioni sul mercato, finalizzate alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico del territorio. Le opere esposte, così come le altre non selezionate per la mostra, derivano anche dalle acquisizioni che la banca ha compiuto nei secoli scorsi, a seguito di insolvenze, di pegni non ritirati, vicende, spesso, di difficoltà economica di famiglie di prestigio, di nobili e di imprenditori.  Non stupisce quindi che la mostra allestita a Palazzo del Monte (storica sede di molte delle vicende sopra accennate) presenti alcune discontinuità, data l’origine naturalmente eterogenea della raccolta.

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Padova, il ritratto di una grande Collezione

La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo celebra i suoi primi vent’anni di attività presentando fra l’altro al pubblico, nella sede restaurata del cinquecentesco Palazzo del Monte, due grandi mostre. La prima documenta, attraverso 20 fotografie, ciò che l’ente ha realizzato in questi vent’anni, la seconda ricorda, attraverso un’accurata selezione di 60 opere d’arte della propria collezione, la storia antica di cui la Fondazione è l’ultima erede. Le banche, come è noto, hanno custodito nel corso degli anni numerose opere d’arte. Così è stato anche per la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, il cui patrimonio, oggi, è in parte proprietà della omonima Fondazione e che una grande mostra allestita nel restaurato Palazzo del Monte finalmente svela.  La mostra “Ritratto di una collezione” mette in evidenza lo splendore della grande arte. Alcune opere sono frutto di mirate acquisizioni sul mercato, finalizzate alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico del territorio. Le opere esposte, così come le altre non selezionate per la mostra, derivano anche dalle acquisizioni che la banca ha compiuto nei secoli scorsi, a seguito di insolvenze, di pegni non ritirati, vicende, spesso, di difficoltà economica di famiglie di prestigio, di nobili e di imprenditori.  Non stupisce quindi che la mostra allestita a Palazzo del Monte (storica sede di molte delle vicende sopra accennate) presenti alcune discontinuità, data l’origine naturalmente eterogenea della raccolta.

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Omar Galliani celebra la capitale

Il titolo “OMAR GALLIANI – Omar, Roma, Amor” gioca sull’anagramma ed unisce il nome dell’artista, Omar, ovvero Omar Galliani, alla città che egli celebra con questa particolare mostra, e si tratta di Roma, esplicitando il sentimento che lo lega ad essa, ovverosia l'”Amor”.
E’ un titolo assolutamente emblematico del contenuto di questa mostra-omaggio e dello spirito che ha animato Omar Galliani nel volerlo, fortemente, realizzare. Ad accogliere l’esposizione, curata da Gabriele Simongini, è il Museo Bilotti, che ha sede nell’ Aranciera di Villa Borghese, dal 16 marzo al 6 maggio 2012.

“Arrivato a questo punto felice della mia carriera, dopo le grandi mostre agli Uffizi e al Poldi Pezzoli e i riconoscimenti avuti nel mondo, avvertivo l’urgenza di ringraziare Roma. L’ho finalmente fatto – afferma Galliani – concependo una unica grande tavola, un disegno persino esagerato (315 cm. per 400 cm.), realizzato interamente a matita su tavole di pioppo.
E’ esagerato quanto è esagerata, assoluta, questa città. Per me Roma è la metropoli che più di ogni altra ha attraversato il tempo divorandolo e rigenerandolo, in un susseguirai di riti pagani o religiosi sempre mantenuti sul filo di un rasoio, affilato . Esistono oggi metropoli ben più allineate su skyline oceanici o Desert City al petrolio, in competizione tra loro per l’affermazione di un primato.
Il primato di Roma non esiste in quanto non c’è partita o meglio manca la competizione in quanto Roma preferisce ” guardare” anziché correre! L’ha sempre fatto, dalle origini ad oggi.
E’ su questo profilo che nasce ” Omar Roma Amor” , acrostico di 4 lettere che mi coinvolgono sul piano del mio nome, della mia storia con la città e oltre.
L’opera che ho voluto per questa mostra rappresenta una “Lei ” (il soggetto), immobile, che guarda Roma da un punto strategico qual è il Pincio.
La “Lei” è di spalle, ma si intuisce che punta lo sguardo sull’orizzonte di una notte romana piena di luci e bagliori. Dal cielo tra le stelle cadono “ossari ” e ” fiori”, di tempi diversi, vittorie e sconfitte, sacrifici innocenti o colpevoli, da Giulio Cesare a Pasolini, da Fred Buscaglione a Papa Wojtyla.
L’uso della matita scandisce il tempo “lungo” del mio lavoro e di Roma .
Sul collo di ” Lei ” un tatuaggio che esprime il significato più profondo, secondo la mia percezione, di questa città magica”.

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Omar Galliani celebra la capitale

Il titolo “OMAR GALLIANI – Omar, Roma, Amor” gioca sull’anagramma ed unisce il nome dell’artista, Omar, ovvero Omar Galliani, alla città che egli celebra con questa particolare mostra, e si tratta di Roma, esplicitando il sentimento che lo lega ad essa, ovverosia l'”Amor”.
E’ un titolo assolutamente emblematico del contenuto di questa mostra-omaggio e dello spirito che ha animato Omar Galliani nel volerlo, fortemente, realizzare. Ad accogliere l’esposizione, curata da Gabriele Simongini, è il Museo Bilotti, che ha sede nell’ Aranciera di Villa Borghese, dal 16 marzo al 6 maggio 2012.

“Arrivato a questo punto felice della mia carriera, dopo le grandi mostre agli Uffizi e al Poldi Pezzoli e i riconoscimenti avuti nel mondo, avvertivo l’urgenza di ringraziare Roma. L’ho finalmente fatto – afferma Galliani – concependo una unica grande tavola, un disegno persino esagerato (315 cm. per 400 cm.), realizzato interamente a matita su tavole di pioppo.
E’ esagerato quanto è esagerata, assoluta, questa città. Per me Roma è la metropoli che più di ogni altra ha attraversato il tempo divorandolo e rigenerandolo, in un susseguirai di riti pagani o religiosi sempre mantenuti sul filo di un rasoio, affilato . Esistono oggi metropoli ben più allineate su skyline oceanici o Desert City al petrolio, in competizione tra loro per l’affermazione di un primato.
Il primato di Roma non esiste in quanto non c’è partita o meglio manca la competizione in quanto Roma preferisce ” guardare” anziché correre! L’ha sempre fatto, dalle origini ad oggi.
E’ su questo profilo che nasce ” Omar Roma Amor” , acrostico di 4 lettere che mi coinvolgono sul piano del mio nome, della mia storia con la città e oltre.
L’opera che ho voluto per questa mostra rappresenta una “Lei ” (il soggetto), immobile, che guarda Roma da un punto strategico qual è il Pincio.
La “Lei” è di spalle, ma si intuisce che punta lo sguardo sull’orizzonte di una notte romana piena di luci e bagliori. Dal cielo tra le stelle cadono “ossari ” e ” fiori”, di tempi diversi, vittorie e sconfitte, sacrifici innocenti o colpevoli, da Giulio Cesare a Pasolini, da Fred Buscaglione a Papa Wojtyla.
L’uso della matita scandisce il tempo “lungo” del mio lavoro e di Roma .
Sul collo di ” Lei ” un tatuaggio che esprime il significato più profondo, secondo la mia percezione, di questa città magica”.

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