Tre generazioni di ricerca sul segno, sulla sua rappresentazione visiva e sul valore universale che esso assume sia sul piano materiale che sul piano simbolico
BIANCO NERO COLORE CHIUSO APERTO Accardi, Capogrossi, Reimondo – Mostra Torino
TORINO – Mazzoleni arte Piazza Solferino, 2
Dal 20/04 al 17/06/2023
Mazzoleni presenta a Torino la mostra dedicata alle ricerche tra forma e linguaggio di tre artisti che, percorrendo strade diverse, hanno esplorato il ricorso ad elementi segnici in grado di evocare – o condensare – in oggetti tangibili significati e riferimenti simbolici rilevanti.
Nelle opere di Carla Accardi (1924 – 2014), Giuseppe Capogrossi (1900 – 1972) e David Reimondo (Genova, 1973) il segno assume senso e valore non solo per le comunità e il momento storico per le quali sono stati prodotti, ma – travalicando i limiti temporali – assurge a valore universale sia sul piano materiale che sul piano simbolico.
Carla Accardi ha vissuto in pieno la scena culturale dell’Italia dell’immediato dopoguerra, quando forte era la disputa tra figurazione e astrazione.
Attiva fin dal 1946 è stata unica donna firmataria del Manifesto Forma 1 nel 1947 che volgeva lo sguardo all’internazionalità̀, all’arte francese, americana, ma anche orientale ed egizia.
Ne deriva una relazione tra visione e vissuto che prende le forme di raffinati incastri di positivo e negativo.
Già aveva capovolto il canone della scrittura visiva con i suoi capovolgimenti delle gerarchie formali e cromatiche passando dal nero su bianco al bianco su nero.
Questo principio di alternanza tra positivo e negativo rimane poi nella sua pratica artistica anche quando il movimento libero del segno, arricchitosi di colore e frutto di una complessa elaborazione estetica, si trasforma in moduli che scandiscono e suddividono la superficie dell’opera, che prende la forma di una scacchiera narrativa.
Giuseppe Capogrossi, di una generazione prima, scopre invece il misterioso alfabeto di una lingua sconosciuta e, dopo una prima fase figurativa e poi neocubista, imprime il segno che sarebbe diventato la sigla emblematica di tutta la sua produzione successiva.
Il segno incontra lo spazio della superficie in una dialettica di bianco e nero giocata in una rigorosa bidimensionalità.
Da qui la nascita di una struttura segnica ripetuta, sempre uguale a se stessa, ma tracciata liberamente e proposta in diverse combinazioni grafiche e cromatiche, ogni volta caratterizzate da ritmo, tratto e definizione differenti.
Più giovane e ancora vivente David Reimondo ricerca anche lui la creazione di nuovi linguaggi che raccontino attraverso il ricorso al simbolo la complessità̀ del pensiero umano.
Il suo macro progetto Etimografia (2014-2018) vede l’artista impegnato nella creazione di ‘simboli’ che approdano alla produzione di nuovi grafemi e fonemi.
Sculture in legno colorate con inchiostro nero per stampanti vivono in continua aggregazione e disgregazione come cellule modulari che scardinano le “gabbie iconografiche” che ci appartengono.
Non ignorando le nuove tecnologie Reimondo ricorre all’uso di medium diversi proiettati, digitalizzati, ma anche ritagliati a mano dall’artista, o da lui costruiti con millimetrica precisione, le opere sono potenti esperienze che ingaggiano lo spettatore su vari livelli fisici e cognitivi.
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