Un progetto fotografico realizzato per la ditta di ceramiche Marazzi a Sassuolo mostra le qualità di un grande fotografo.
Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975-1985
Il Palazzo Ducale di Sassuolo è una delle più importanti residenze barocche dell’Italia settentrionale.
Il suo aspetto attuale prende forma per volere del duca Francesco I d’Este, che nel 1634 incarica l’architetto Bartolomeo Avanzini di trasformare l’antico castello di famiglia in una moderna dimora extraurbana per la corte.
Dal 2004 il Palazzo è affidato al Ministero della Cultura che, inserito nel sistema delle Gallerie Estensi, provvede alla sua gestione e valorizzazione e ospita anche mostre temporanee.
Fino al 31 ottobre è possibile visitare la mostra Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975-1985.
Conservato per decenni negli archivi dell’azienda di ceramiche Marazzi, un nucleo inedito di fotografie di Luigi Ghirri diventa protagonista della mostra al Palazzo Ducale di Sassuolo.
Per la prima volta gli spazi dell’Appartamento dei Giganti, da poco riallestiti, hanno riaperto al pubblico il 16 settembre raccontando l’incontro del fotografo emiliano con l’azienda e la loro collaborazione nata proprio a Sassuolo nel 1975.
Una storia straordinaria di ricerca, creatività e legame con il territorio di cui le Gallerie Estensi, amate da Ghirri, incarnano la storia e la bellezza.
La mostra, curata da Ilaria Campioli è promossa dalle Gallerie Estensi in collaborazione con l’Archivio Luigi Ghirri e Marazzo Group.
La mostra di Sassuolo è occasione per meglio conoscere Luigi Ghirri (1943-1992).
Un profilo molto essenziale ma esaustivo di Ghirri si trova nel sito https://www.grandi-fotografi.com/luigi-ghirri, da cui è tratto il testo che segue.
“Ghirri è stato un grande fotografo concettualista, quasi surrealista, ben noto non solo per la quantità incredibile di scatti (oltre 150.000!) ordinati in oltre trenta raccolte, ma anche per la grande varietà di soggetti.
Ghirri fotografava tutto ciò che catturava la sua attenzione.
Era un fotografo incostante e distratto, amava iniziare nuovi progetti destinati a non terminare mai, opere lasciate volutamente incomplete: la fotografia come un progetto dinamico, una ricerca destinata a non concludersi mai.
Particolarmente celebre per i suoi paesaggi, Ghirri era in realtà uno studioso delle forme e della semplicità, gli elementi fondamentali su cui si costruisce la realtà.
Questa semplicità, aiutata da un ricercato minimalismo e dalla purezza delle immagini alimenta un senso di libertà che mira a trascendere la forma ed invita alla riflessione metafisica o filosofica.
Il paesaggio visto attraverso i suoi occhi assume connotati nebulosi, i bordi delle figure si fanno quasi eterei e sfumati, i soggetti sono lontani e la percezione del vuoto diventa spesso l’elemento più invadente.
Fondamentale per rinforzare questa visione è l’uso del colore.
Le tonalità, inizialmente più pop e brillanti, acquisirono ben presto quella declinazione pastello, azzurrina ed insatura che contraddistingue il suo stile e diventano il medium attraverso cui si propaga la sensibilità del fotografo.
Luigi non fu solo un abile utilizzatore del colore, fu anche uno dei suoi primi pionieri: piuttosto malvista ai tempi la pellicola a colori era tipica delle pubblicità come delle cartoline.
Un’altra particolarità del suo stile è la notevole carenza di persone: Ghirri desiderava fotografare l’uomo perlopiù attraverso gli oggetti e i luoghi della sua vita oppure, al contrario, nelle sue mani le persone diventavano strumenti attraverso i quali si esplicano le idee.
Per esempio, Ghirri soleva immortalare i fotografi intenti a scattare: le persone diventavano così i mezzi con cui si manifesta la presenza stessa della fotografia nel mondo.
Uno dei suoi lavori sicuramente più importanti fu quello sui “non luoghi”: quegli spazi che costruiscono il nostro quotidiano, gli angoli, i corridoi, gli scorci trascurati ed invisibili.
Gli scatti che ritraggono queste “banalità” sono forse i più autentici e numerosi; la presenza umana è rarefatta e quasi invisibile, impercettibile, come se quei luoghi fossero sempre esistiti indipendentemente dall’uomo.